Un approfondimento diagnostico inerente i disturbi dell’apprendimento non è un semplice svolgere alcuni test al fine di stilare un relazione da portare a scuola, per rispondere ai rilievi di maestre o professoresse; si tratta di un percorso complesso, in cui vanno prese in considerazione anche le dinamiche del contesto familiare in cui tale accertamento viene significato dai genitori, talvolta tra loro discordanti.
Oltre ai vissuti e all’eventuale difficoltà del bambino, infatti, sono intensamente attivati anche i genitori e l’intera famiglia. Non si tratta di un passaggio che può essere risolto in modo semplicistico e superficiale, pensando che si debba solo protocollare un documento a scuola.
L’accertamento di un disturbo dell’apprendimento è un’occasione di contatto con specialisti per il bambino e per la sua famiglia. Se al minore è richiesto di sottoporsi ai test e di riflettere sulla sua esperienza scolastica, il compito dei genitori ugualmente non si limita solamente ad accompagnare alle visite. Anche per loro, infatti, incontrare l’equipe che si occupa della diagnosi è un’opportunità preziosa per non restare solamente all’interno del proprio sistema di significati e provare a confrontarsi con professionisti che possono avere idee diverse sul proprio figlio e sulla spiegazione dei suoi problemi. Non va sottovalutato inoltre come tra i due genitori possano esistere punti di vista divergenti ed essere implicate in questo processo dimensioni disfunzionali all’interno della coppia.
È indispensabile prevedere appositi spazi per accogliere i genitori e offrire loro uno spazio insaturo dove raccontare le loro esperienze con il bambino, con la scuola e con le difficoltà, oltre che le loro idee sulla valutazione che si appresta a cominciare o che si è appena conclusa.
Nel lavoro all’interno dell’équipe Ariee Aps, infatti, non trascuro, negli specifici momenti di accoglienza della domanda e di restituzione della relazione, come si vede nel diagramma sottostante, un’attenzione ai genitori, ai loro vissuti e alle storie delle famiglie, consapevole dell’inestricabilità dell’individuo dai propri contesti di appartenenza e della necessità che un maggior benessere passi dalla disponibilità a costruire narrazioni alternative e meno sature delle situazioni problematiche.

Non di rado, infatti, un genitore ritiene che le difficoltà del figlio vadano attribuite a pigrizia o svogliatezza, mentre l’altro, di solito più coinvolto nella gestione degli impegni scolastici e di studio, ha un’idea meno assoluta e più prossima alla complessità del reale della situazione. Non cogliere queste dinamiche come centrali in un apposito spazio di colloquio per i genitori significa, oltre a considerare solo una porzione del disagio attraverso un’epistemologia semplificata che concepisce gli individui come separati, anche ridurre il potenziale trasformativo dell’approfondimento diagnostico.
Qualora infatti venisse accertata una diagnosi di DSA, ma non si desse attenzione a tali dinamiche, limitandosi a consegnare la relazione perché venga portata a scuola, si lascerebbe la famiglia sola di fronte al complesso compito di accettazione della situazione ed adattamento di fronte alla stessa, sia sul piano pratico, sia sul piano delle aspettative. Non è trascurabile inoltre come, senza un adeguato spazio di confronto, le indicazioni dei clinici finirebbero in secondo piano rispetto alla possibilità che un precedente conflitto tra i genitori, magari silente, abbia a saturare la situazione, immobilizzandone le possibili evoluzioni.
La mia formazione come psicoterapeuta per l’individuo, il gruppo e l’istituzione, consente di abitare questa pluralità di livelli nel colloquio e nel lavoro dell’équipe, potendo muovere tra la dimensioni di accertamento delle difficoltà di apprendimento ed altre relative alla connessione tra questa ed il sistema di significati in famiglia che man mano emerge, come alla gestione dei rapporti con la scuola, inerenti alla stesura del P.D.P. ed alla sua gestione.
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