Si sente spesso parlare di stereotipi e pregiudizi, di azioni dettate da tali dinamiche e delle loro conseguenze in termini di conflittualità tra persone o gruppi. Può non essere semplice tuttavia, malgrado siano molti gli esempi di azioni derivanti da tali distorsioni del pensiero, definirne le caratteristiche e le differenze.
Per introdurre le riflessioni sugli stereotipi può essere utile analizzare l’analogia tra questi e il teatro dell’arte. Questo tipo di rappresentazione è la forma assunta e mantenuta dalla commedia italiana per oltre due secoli, all’incirca tra la metà del cinquecento e la fine del settecento. In questo periodo le compagnie di attori giravano per l’Europa, esibendosi nelle corti, nelle fiere, nei palazzi comunali, proponendo spettacoli di sicuro richiamo popolare, basati su meccanismi scenici elementari e sullo svolgersi di una gamma piuttosto ristretta di storie. I temi ricorrenti erano l’inganno, la beffa, la sorpresa, l’amore contrastato, il raggiro, situazioni in grado di produrre uno squilibrio cognitivo, ma che, con l’evolversi della storia, si risolvevano nel modo sperato con il coronamento della storia d’amore, la giusta punizione per i malevoli, il riconoscimento della buona fede e dell’abilità, ripristinando l’equilibrio cognitivo e ricompensando gli spettatori per la forte attivazione emotiva. Il grande successo di questo genere risiede in due fattori di ordine psicologico, il primo legato all’interesse per le situazioni aperte, inusuali e inaspettate che portano lo spettatore a seguire la vicenda per poter avere dei chiarimenti, il secondo invece è legato alla preferenza degli spettatori per la tipizzazione dei personaggi. Infatti nella commedia nell’arte non esiste un personaggio con specificità psicologiche marcate, piuttosto un carattere con un bagaglio di caratteristiche fisiche, psicologiche e comportamentali molto definito, quasi immutabile nel tempo e nei contesti, e facilmente comprensibile. Indipendentemente da dove fosse ambientata la storia, ad esempio, il servitore sarà un carattere con tratti di furberia, cialtroneria, in perenne lotta con la fame e le pretese dei padroni a cui farà fronte con l’arte di arrangiarsi. Le storie basate su questi caratteri erano quindi così immutabili da non necessitare di un vero e proprio copione che prevedesse dialoghi e battute, risultava sufficiente infatti una rozza trama, un canovaccio, per portare avanti la vicenda, regolare le entrate in scena e lo svolgersi degli avvenimenti.
Aver tracciato a grandi linee le caratteristiche della commedia dell’arte consente di riconoscere all’interno dei suoi meccanismi di funzionamento, legati all’omogeneizzazione e alla semplificazione delle psicologie dei personaggi, un forte parallelismo con quelli dello stereotipo, connesso alla necessità degli individui, di fronte alla complessità del mondo, di avere forme semplici e maneggevoli di conoscenza della realtà, rappresentazioni dall’elevato potere uniformante, lontane dall’idiosincrasia e dall’irrepetibile unicità delle persone e delle situazioni.
Il termine stereotipo deriva dal linguaggio tipografico e viene usato da Lippman nel 1922 all’interno del libro Public Opinion per riferirsi alle conoscenze rigide e impermeabili che organizzano le nostre rappresentazioni sociali.
Per tutto il ciclo di vita gli stereotipi tendono ad accompagnarsi comunemente, ma non necessariamente, al pregiudizio; è possibile considerare lo stereotipo come il nucleo cognitivo, la rappresentazione mentale, l’insieme degli elementi di informazione e delle credenze circa una certa categoria di oggetti, rielaborati in un’immagine coerente e tendenzialmente stabile, in grado di sostenere e riprodurre il pregiudizio nei confronti dei membri di un gruppo. Se lo stereotipo riguarda maggiormente contenuti di tipo cognitivo il pregiudizio si colloca invece ad un livello emotivo e ha una funzione di organizzazione rispetto alle azioni da compiere.
Dal punto di vista etimologico il termine pregiudizio indica un giudizio precedente alla conoscenza, vale a dire emesso sulla base di dati insufficienti. Per tale caratteristica il pregiudizio è facilmente errato ed ostacolo alla conoscenza di singoli o gruppi sociali. Ad un livello di grande generalizzazione il pregiudizio può essere definito come un giudizio che precede l’esperienza, formulato in assenza di dati, mentre, ricercando una definizione più accurata, è possibile spiegarlo come la tendenza a considerare in modo ingiustificatamente sfavorevole le persone che appartengono ad un determinato gruppo sociale. Entrambe le accezioni del fenomeno implicano che tale dinamica abbia un forte impatto sull’azione e sulle cognizioni delle parti in causa.
È importante sottolineare, anche per comprendere quanto possa essere importante lavorare per prevenire e ridurre gli effetti della conflittualità, come le rappresentazioni stereotipate si presentino in età molto precoci.
Nelle dinamiche sociali i pregiudizi e gli stereotipi possono avere numerose ripercussioni infatti, al pericolo di contribuire ad innescare un aperto conflitto, si aggiungono, in termini più semplici e pacifici, ma non per questo meno pericolosi, le profezie che si autoadempiono. Interagendo con gli altri sulla base delle proprie attese li si induce ad adattarsi ad esse. L’individuo che nutre determinate aspettative nei confronti degli altri emetterà segnali sottili attraverso il suo comportamento e adotterà comportamenti di tipo positivo o negativo in corrispondenza del manifestarsi di comportamenti che si adeguano a quella aspettativa, provocandone la riproduzione attraverso il meccanismo del rafforzamento.
Non è possibile evitare che questi meccanismi di semplificazione della realtà si attivino, tuttavia è necessario, per prevenire azioni ai danni dei gruppi oggetto del pregiudizio e permettere interazioni positive e in grado di portare benessere, esserne consapevoli e poterli riconoscere nelle proprie e altrui azioni e superarli nel contatto tra i gruppi.
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