Save the Children, nel rapporto “Alla ricerca del tempo perduto” (2022), evidenzia come 23,1% dei 15-29enni in Italia si trovi sospeso, fuori da ogni percorso di lavoro, istruzione o formazione. Si tratta del numero dei Neet è il più alto dell’Ue, oltre il doppio di Francia e Germania.
Il 12,7% degli studenti non arriva al diploma, perché abbandona precocemente gli studi; inoltre, anche tra chi arriva al diploma c’è poi una percentuale rilevante, il 9,7% del totale, quasi un diplomato su 10 nel 2022, «senza le competenze minime necessarie per entrare nel mondo del lavoro o dell’Università». Il rapporto la definisce “dispersione implicita” ed è connessa all’impoverimento educativo e alla povertà materiale.
Per avvicinarci alle problematiche degli adolescenti, oltre che dei dati, abbiamo bisogni di un atteggiamento che vada oltre la colpevolizzazione e la semplificazione (ad esempio: “è colpa dei ragazzi…”, “la scuola non è più in grado di trasmettere regole e contenuti”, “le famiglie non sono più una guida durante lo sviluppo”), tanto frequenti quanto saturanti reazioni alle difficoltà che possono emergere in questa fase evolutiva; uno spazio di ascolto esterno alla famiglia può quindi porsi come contenitore insaturo dove sospendere conflitti e provare a sentire, per il ragazzo e la sua famiglia, come base di un percorso il cui arresto è da tradurre, tutti insieme, in un rinnovamento.

Sempre più frequentemente la lingua che abitualmente utilizziamo accoglie tra le sue espressioni termini anglofoni; è il caso di due espressioni, “neet” e “drop out” che raccontano entrambi di difficoltà del periodo adolescenziale e dei giovani adulti.
Il primo termine è in realtà un acronomico, NEET sta per Not [Engaged] in Employment, Education or Training e indica la quota di popolazione di età compresa tra i 15 e il 29 anni che non è né occupata, né inserita in un percorso formativo oppure di istruzione. L’espressione drop out invece racconta la condizione di quei ragazzi che si trovano ad affrontare la dispersione scolastica, in particolare nel passaggio dalla scuola dell’obbligo al biennio della scuola superiore.
Entrambe le parole raccontano di una difficoltà comune:
I giovani che si confrontano con tali situazioni, hanno spesso subito inizialmente un impatto negativo con l’istituzione scolastica o con il mondo del lavoro ed hanno continuato successivamente ad accumulare insuccessi, entrando in un circolo vizioso caratterizzato da senso di fallimento, perdita di autostima, caduta della motivazione, rifiuto di altre possibilità formative o lavorative.
Naturalmente, la dispersione e il disorientamento non si identificano esclusivamente con bocciature e perdita di speranza nella ricerca del lavoro, ma questi segnali devono essere considerati e compresi attraverso un aspetto trasversale, un fenomeno ben più complesso riguardante la perdita di efficacia e di continuità nel percorso di crescita, nell’acquisizione di ruoli e nelle dinamiche relazionali rispetto alla famiglia e al gruppo dei pari.
L’autoefficacia, è alla base della nostra capacità di comprendere e agire nel mondo ed è direttamente influenzata dai processi attribuzionali, ovvero da come ci spieghiamo, i nostri successi e i nostri insuccessi. Una lunga ed eterogenea serie di insuccessi porterà quindi ad autovalutazioni negative relative a mancanze di abilità, di strumenti che, a loro volta, incrementeranno le possibilità che ogni nuovo tentativo si riveli un fallimento.
In Italia, la dispersione scolastica è un fenomeno che nelle scuole secondarie di II° grado a volte raggiunge il 30% dei casi. La Conferenza di Lisbona ha fissato degli obiettivi in tal senso: ridurre la percentuale dei giovani che abbandonano prematuramente l’istruzione e la formazione al di sotto del 10% entro il 2020. Ugualmente il mercato del lavoro non rappresenta in questa fase un fattore di protezione per i giovani, anzi, frequentemente si configura come un contesto frustrante in cui continuare a percorrere il ciclo di disconferme e declino dell’autostima.
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L’orientamento riveste un’importanza centrale e gli incontri, abitualmente proposti, per la scelta della scuola superiore sembrano non essere sufficienti a gestire la complessità cui più volte in pochi anni i ragazzi devono fare i conti. Inoltre spesso chi potrebbe avere un ruolo positivo e di guida si pone come un fattore di ulteriore disagio finendo per mantenere i ragazzi in una condizione di povertà di strumenti e conseguente immobilità e bassa autostima da cui è sempre più complesso allontanarsi man mano che passa il tempo.
Nella mia pratica professionale mi occupo di psicoterapia per gli adolescenti ed i giovani adulti, trovandomi spesso ad accompagnare attraversamenti di fasi accidentate in questi percorsi di crescita. Ho inoltre competenze nell’orientamento, potendo attivare con percorsi individuali e di riflessione con la famiglia tramite la somministrazione, anche on-line, di appositi strumenti, oltre che di creare spazi e momenti per adulti, genitori o educatori, rispetto alla gestione di tali delicati passaggi dei ragazzi.
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Due problemi di grandissima attualità: non conoscevo la terminologia (evidentemente comincio ad essere più vecchio di quanto sperassi) ma ahimè le questioni mi sono ben note.
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Anche io mi confronto con queste problematiche che insieme alla violenza giovanile sono sempre più gravi ed urgenti, sopratutto in certe scuole di confine.
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